30 ottobre 2005

L'auto di Wojtyla venduta a 690 mila dollari


LAS VEGAS - È stata venduta all'asta a Las Vegas per 690 mila dollari (570 mila euro) una Ford Escort GL del 1975, l'unica auto mai posseduta da papa Giovanni Paolo II quando ancora era arcivescovo di Cracovia in Polonia. Se l'è aggiudicata John O'Quinn, un avvocato 62enne di religione battista e collezionista di auto di Houston: ne possiede già 600.
Secondo un portavoce della casa d'aste Kruse International, l'automobile, che era stata stimata tra 2 e 5 milioni di dollari, ha attirato cinque offerte prima di essere aggiudicata a O'Quinn. All'interno dell'auto si trovano anche un rosario con i grani in legno, una scatola di fiammiferi, una scatoletta di caramelle e un medaglione adesivo con l'immagine di Santa Maria Goretti.La Ford Escort GL azzurrina, con 100 mila km alle spalle, era stata offerta all'asta dopo la soluzione di una lite familiare tra il precedente proprietario e suo padre. Karol Wojtyla, dopo l'elezione a Papa, l'aveva data alla casa d'asta Kruse, specializzata in auto d'epoca, con l'obiettivo di venderla a scopi benefici. La Ford era stata acquistata per 102 mila dollari nel 1996 da Jim Rich, titolare di un ristorante di Chicago, ma ora è finito in bancarotta e l'ha rimessa all'asta per pagarsi i debiti.


Fonte: www.corriere.it

28 ottobre 2005

Benigni a RockPolitik

La seconda puntata di Rockpolitik, in termini di ascolti tv, ha fatto meglio della prima e Benigni ha richiamato ancora più telespettatori di quanto non avesse fatto una settimana prima Michele Santoro.
«Sono qui per aiutare Silviuccio». Roberto Benigni, acclamato dal pubblico, entra saltellando sulla scena della seconda puntata di RockPolitik e ricordando le polemiche che hanno caratterizzato l'ultima settimana, dopo la trasmissione di debutto segnata dalla partecipazione di Michele Santoro, invita Adriano Celentano a scrivere al premier una lettera di scuse. «Adriano, tu hai fatto talmente arrabbiare quel povero Silvio Berlusconi, ti sei preso tutta la libertà, che ora devi chiedere scusa», ha esordito Benigni. «Se vuoi cerco di tirarti fuori: dovresti scrivere una lettera a Berlusconi di scuse, riparatoria, perchè Silvio è in Inghilterra ma sta guardando la trasmissione». Segue l'esilarante dettatura di Benigni a Celentano, seduto ubbidiente dietro un banchetto, come in una scena di Totò, Peppino e la malafemmina (peraltro già citata da Benigni nel duetto con Troisi in Non ci resta che piangere):

Brugherio 27 Ottobre 2005

O... da non leggere in Bulgaria,ma mentre sei in Marocco a farti un cannone con Bondi. Siccome quest'anno ho fatto una trasmissione dove ho preso in giro il capo del governo, l'anno prossimo farò una trasmissione dove prendo in giro il capo dell'opposizione... (non va bene perchè il capo sarà lui,con molta probabilità, quindi viene cancellata dall'esilerante lettera).Benigni ti ama tanto. Noi ti ammiriamo, però nel governo c'è qualcosa che non va, e sei tu, caro Silviuccio, come ti chiama Benigni, che devi risolvere tutto.
BRUGHERIO
Le cose belle che hai fatto sono tante...le sai te. Per scriverle tutte, ci vorrebbero talmente tanti fogli e biro... Ti dò un pugno...(conclude la lettera)
Adriano Celentano
BRUGHERIO

26 ottobre 2005

Università, scontri davanti alla Camera

ROMA - Studenti, ricercatori e professori sul piede di guerra contro le riforme di scuola e università. Dopo l'imponente manifestazione per le vie di Roma (100 mila i partecipanti secondo gli organizzatori), a fine giornata davanti a Montecitorio ci sono stati scontri con la polizia che hanno provocato alcuni contusi, tra cui anche un cameramen e un fotografo. Scontri anche tra maggioranza ed opposizione impegnati a votare il disegno di legge sull'università, approvato in serata.
Il testo è passato con 259 sì. L'opposizione non ha partecipato al voto finale: i deputati dell'Unione non sono entrati in Aula. Nelle dichiarazioni di voto finale, i deputati del centrosinistra hanno rinnovato le loro critiche alla riforma Moratti. Dopo il voto i deputati della Cdl hanno lungamente applaudito. Quando escono parte una bordata di fischi: gli studenti sono ancora lì davanti alle transenne. Alcuni di loro hanno persino deciso di dormirci. E le proteste aumentano quando compare in piazza Montecitorio il capogruppo di An Ignazio La Russa. Lui si ferma e i fischi si moltiplicano. Guarda gli studenti per qualche secondo e poi se ne va. Meno diplomatico il deputato di FI , Fabio Garagnani. Oltrepassato il portone della Camera infatti si rivolge ai manifestanti gridando con tanto di braccio alzato: «Bastardi! Bastardi!». I carabinieri che presidiano ancora la piazza scuotono la testa e si informano su chi sia il parlamentare. «Chiediamo l'interruzione dei lavori parlamentari e la possibilità di discutere tutto il provvedimento di riforma. Questo è un "assedio" non ce ne andremo se non sarà interrotto il dibattito» avevano minacciato durante il sit in. Visto che veniva impedito loro di entrare in piazza Montecitorio hanno bloccato una delle strade di accesso, via Uffici del Vicario. La piazza si è presto appannata di fumogeni di colore rosso. La polizia ha caricato alcuni studenti che si erano staccati da un corteo in via del Corso puntando verso Palazzo Chigi. La polizia ha fermato uno dei ragazzi.
La tensione è poi ulteriormente salita ed è degenerata in veri e propri scontri tra gli studenti e le forze dell'ordine davanti a palazzo Chigi. I manifestanti hanno tentato di sfondare il cordone di polizia e di avvicinarsi all'ingresso del palazzo del Governo. A quel punto sono scattate alcune cariche della polizia. I manifestanti hanno continuato a gridare alle forze dell'ordine «fascisti, vergogna, servi dei servi» mentre alcuni parlamentari, tra cui Paolo Cento e Giovanni Russo Spena hanno cercato di parlamentare. Alcuni ragazzi hanno poi fatto un cordone per via del Corso, all'altezza di Palazzo Chigi per frapporsi tra gli studenti e la polizia. Il clima è rimasto sempre teso, ci sono stati alcuni contusi e sono stati feriti anche un fotografo free lance, Stefano Contesi e un operatore di Telenorba, Dante D'Aurelio. Testimonianze parlano anche del ferimento di un'altra ragazza.
La questura di Roma ha inizialmente negato le cariche in via del Corso. In serata invece ha fatto sapere che «i due agenti, intervenuti in via del Corso, dando il via al contatto con i manifestanti e i conseguenti tafferugli hanno agito di loro iniziativa». Secondo quanto spiegato dalla Questura di Roma nel corso della giornata, «diversamente da quanto concordato con gli organizzatori del corteo, gli studenti una volta giunti in piazza Venezia hanno cercato in tutti i modi di giungere in piazza del Parlamento». È stato inoltre precisato che nonostante le continue «provocazioni, le forze dell' ordine hanno contenuto la protesta non reagendo fino all'arrivo dei manifestanti davanti alle sedi istituzionali». Il «contatto» con il gruppo di manifestanti, è stato spiegato, si è verificato dopo che alcuni di loro avevano sputato in direzione dello schieramento delle forze dell'ordine.

Per chi fosse interessato, la riforma Moratti è qui.

Fonte: www.corriere.it

24 ottobre 2005

L'intervista smarrita a Paolo Borsellino


Ecco la trascrizione dell'intervista rilasciata dal magistrato Paolo Borsellino il 19 Maggio 1992 ai giornalisti Jean Pierre Moscardo e Fabrizio Calvi, così come è andata in onda in televisione. L'intervista venne registrata quattro giorni prima dell'attentato di Capaci in cui fu ucciso Giovanni Falcone. Due mesi dopo (il 19 luglio) lo stesso Borsellino fu ucciso nell'attentato di via D'Amelio a Palermo. L'intervista del magistrato, trasmessa da un canale satellitare Rai e rifiutata da altre tv nazionali, è al centro delle polemiche scatenate dalla trasmissione "Satyricon" . L'intervista si apre con una dichiarazione di Borsellino.

Borsellino: Sì, Vittorio Mangano l'ho conosciuto anche in periodo antecedente al maxi-processo e precisamente negli anni fra il 1975 e il 1980, e ricordo di aver istruito un procedimento che riguardava delle estorsioni fatte a carico di talune cliniche private palermitane. Vittorio Mangano fu indicato sia da Buscetta che da Contorno come "uomo d'onore" appartenente a Cosa Nostra.

Giornalista: "Uomo d'onore" di che famiglia?
Borsellino: L'uomo d'onore della famiglia di Pippo Calò, cioè di quel personaggio capo della famiglia di Porta Nuova, famiglia della quale originariamente faceva parte lo stesso Buscetta. Si accertò che Vittorio Mangano, ma questo già risultava dal procedimento precedente che avevo istruito io e risultava altresì da un procedimento cosiddetto procedimento Spatola, che Falcone aveva istruito negli anni immediatamente precedenti al maxi-processo, che Vittorio Mangano risiedeva abitualmente a Milano, città da dove come risultò da numerose intercettazioni telefoniche, costituiva un terminale del traffico di droga, di traffici di droga che conducevano le famiglie palermitane.

Giornalista: E questo Mangano Vittorio faceva traffico di droga a Milano?
Borsellino: Vittorio Mangano, se ci vogliamo limitare a quelle che furono le emergenze probatorie più importanti risulta l'interlocutore di una telefonata intercorsa fra Milano e Palermo, nel corso della quale lui, conversando con un altro personaggio mafioso delle famiglie palermitane, preannuncia o tratta l'arrivo di una partita di eroina chiamata alternativamente, secondo il linguaggio convenzionale che si usa nelle intercettazioni telefoniche, come magliette o cavalli.

Giornalista: Comunque lei in quanto esperto, può dire che quando Mangano parla di cavalli al telefono, vuol dire droga.
Borsellino: Si, tra l'altro questa tesi dei cavalli che vogliono dire droga, è una tesi che fu avanzata alla nostra ordinanza istruttoria e che poi fu accolta al dibattimento, tanto è che Mangano fu condannato al dibattimento del maxi processo per traffico di droga.

Giornalista: Dell'Utri non c'entra in questa storia?
Borsellino: Dell'Utri non è stato imputato del maxi processo per quanto io ne ricordi, so che esistono indagini che lo riguardano e che riguardano insieme Mangano.

Giornalista: A Palermo?
Borsellino: Sì, credo che ci sia un'indagine che attualmente è a Palermo con il vecchio rito processuale nelle mani del giudice istruttore, ma non ne conosco i particolari.

Giornalista: Marcello Dell'Utri o Alberto Dell'Utri?
Borsellino: Non ne conosco i particolari, potrei consultare avendo preso qualche appunto, cioè si parla di Dell'Utri Marcello e Alberto, di entrambi.

Giornalista: I fratelli
Borsellino: Sì.

Giornalista: Quelli della Publitalia?
Borsellino: Sì.

Giornalista: Perché c'è nell'inchiesta della San Valentino, un'intercettazione fra lui e Marcello Dell'Utri in cui si parla di cavalli.
Borsellino: Beh, nella conversazione inserita nel maxi-processo, si parla di cavalli da consegnare in albergo, quindi non credo potesse trattarsi effettivamente di cavalli, se qualcuno mi deve recapitare due cavalli, me li recapita all'ippodromo o comunque al maneggio, non certamente dentro l'albergo.

Giornalista: C'è un socio di Marcello Dell'Utri, tale Filippo Rapisarda che dice che questo Dell'Utri gli è stato presentato da uno della famiglia di Stefano Bontade.
Borsellino: Palermo è la città della Sicilia dove le famiglie mafiose erano più numerose, si è parlato addirittura in un certo periodo almeno di duemila uomini d'onore con famiglie numerosissime, la famiglia di Stefano Bontade sembra che in un certo periodo ne contasse almeno 200, si trattava comunque di famiglie appartenenti a una unica organizzazione, cioè Cosa Nostra, i cui membri in gran parte si conoscevano tutti, e quindi è presumibile che questo Rapisarda riferisca una circostanza vera.

Giornalista: Lei di Rapisarda ne ha sentito parlare?
Borsellino: So dell'esistenza di Rapisarda, ma non me ne sono mai occupato pesonalmente.

Giornalista: Perché quanto pare, Rapisarda, Dell'Utri, erano in affari con Ciancimino, tramite un tale Alamia.
Borsellino: Che Alamia fosse in affari con Ciancimino è una circostanza da me conosciuta e che credo risulti anche da qualche processo che si è già celebrato. Per quanto riguarda Rapisarda e Dell'Utri, non so fornirle particolari indicazioni, trattandosi ripeto sempre di indagini di cui non mi sono occupato personalmente.

Giornalista: Non le sembra strano che certi personaggi, grossi industriali come Berlusconi, Dell'Utri, siano collegati a uomini d'onore tipo Vittorio Mangano?
Borsellino: All'inizio degli anni Settanta, Cosa Nostra cominciò a diventare un'impresa anch'essa, un'impresa nel senso che attraverso l'inserimento sempre più notevole, che a un certo punto diventò addirittura monopolistico, nel traffico di sostanze stupefacenti, Cosa Nostra cominciò a gestire una massa enorme di capitali, dei quali naturalmente cercò lo sbocco, perché questi capitali in parte venivano esportati o depositati all'estero e allora così si spiega la vicinanza tra elementi di Cosa Nostra e certi finanzieri che si occupavano di questi movimenti di capitali.

Giornalista: Lei mi dice che è normale che Cosa Nostra si interessi a Berlusconi?
Borsellino: è normale che chi è titolare di grosse quantità di denaro cerchi gli strumenti per poter impiegare questo denaro, sia dal punto di vista del riciclaggio, sia dal punto di vista di far fruttare questo denaro.

Giornalista: Mangano era un pesce pilota?
Borsellino: Sì, guardi le posso dire che era uno di quei personaggi che ecco erano i ponti, le teste di ponte dell'organizzazione mafiosa nel nord Italia.

Giornalista: Si dice che abbia lavorato per Berlusconi?
Borsellino: Non le saprei dire in proposito o anche se le debbo far presente che come magistrato ho una certa ritrosia a dire le cose di cui non sono certo, so che ci sono addirittura ancora delle indagini in corso in proposito. Non conosco quali atti siano ormai conosciuti, ostensibili e quali debbano rimanere segreti. Questa vicenda che riguarderebbe i suoi rapporti con Berlusconi, è una vicenda che la ricordi o non la ricordi, comunque è una vicenda che non mi appartiene, non sono io il magistrato che se ne occupa quindi non mi sento autorizzato a dirle nulla.

Giornalista: C'è un'inchiesta ancora aperta?
Borsellino: So che c'è un'inchiesta ancora aperta.

Giornalista (in francese): Su Mangano e Berlusconi a Palermo?
Borsellino: Sì.


15 marzo 2001

Fonte: www.indicius.it/archivio/borsellino.html

23 ottobre 2005

«Rockpolitik ennesimo attacco al premier»

ROMA - «Non c'era bisogno di Adriano Celentano per avere ventate di libertà in televisione. Basta guardare ogni giorno i canali Rai per vedere battute contro il presidente del Consiglio da parte di Serena Dandini e Sabina Guzzanti, Gene Gnocchi ed Enrico Bertolino, Dario Vergassola, Corrado Guzzanti e altri che cerco di non tenere a mente. Oltre, è ovvio, a Rockpolitik». Così il premier Silvio Berlusconi nel libro di Bruno Vespa «Vincitori e vinti. Le stagioni dell'odio dalle leggi razziali a Prodi e Berlusconi» in uscita all'inizio di novembre, di cui sono uscite oggi alcune anticipazioni.
«E' SOLO L'ULTIMO EPISODIO» - Il premier parla della prima puntata di Rokpolitik, la trasmissione di Adriano Celentano che ha debuttato nei giorni scorsi su Raiuno. «Quello di giovedì 20 ottobre - dice a Vespa il presidente del Consiglio - è soltanto l'ultimo episodio di un sistema della comunicazione, televisione ma anche della stampa, che dal 2001 ha sistematicamente attaccato l'operato del governo e il presidente del Consiglio. Mi accusano di controllare le principali 6 reti televisive nazionali, mentre la verità è sotto gli occhi di tutti: l'intero palinsesto di Rai 3 è mirato contro il presidente del Consiglio e contro il governo, l'informazione di Canale 5 dà spesso più spazio alle ragioni dell'opposizione piuttosto che alle nostre, Tg1 e Tg 2 sono abbastanza equilibrati. C'è solo il Tg4 dalla nostra, con Emilio Fede che tuttavia non ha mai offeso nessuno dell'opposizione. Ma sono soprattutto le trasmissioni di intrattenimento, quando si occupano di questioni sociali e politiche, a riservare più critiche che non riconoscimenti al governo. Per non parlare della stampa quotidiana».

Silvio,ne abbiamo abbastanza delle tue lamentele!!!

Fonte: www.corriere.it

21 ottobre 2005

Intervista a Marco Travaglio

Vi riporto l'intervista fatta a Marco Travaglio (riportata su www.disinformazione.it), famoso giornalista, attualmente collaboratore de "la Repubblica", "L'Espresso", "Micromega". E' noto per essere uno dei più rigorosi cronisti delle indagini e dei processi di Mani Pulite. Su questi temi ha scritto "Il processo. Storia segreta dell'inchiesta Fiat", "Il manuale del perfetto impunito". Come delinquere e vivere felici", "L'odore dei soldi ". Proprio la presentazione di quest'ultimo libro, dedicato alle origini della fortuna di Silvio Berlusconi, durante una puntata dello show Satyricon, è stata al centro di feroci polemiche ed è costata al conduttore Daniele Luttazzi, la presenza in RAI.

All’interno dell’Italia berlusconiana, lei come si inserisce a livello politico? Si definisce un anti-berlusconiano o si schiera dalla parte della sinistra?
La prima che hai detto, senza mischiarmi. Io faccio un altro mestiere. Non posso essere pregiudizialmente con questi o con quegli altri. Mi sembra naturale che chi fa il giornalista non possa stare con chi da quattro anni cerca di, ed è riuscito a massacrare la libertà d’informazione. Di certo non posso stare con questi soggetti, ma non è una questione di stare quindi con gli altri, è una questione di stare proprio fuori da queste logiche. È una difesa non solo del mio proprio mestiere ma anche, in quanto cittadino, di tutto ciò che è in pericolo: la costituzione, la legalità, la morale, la dignità nostra. Sono tutti patrimoni non di destra e non di sinistra, sono patrimoni che dovrebbero essere cari a tutti quanti. Tutti quanti dovrebbero essere anti-berlusconiani, tutti… soprattutto quelli di destra!

Come ha ottenuto tutte le sue ricchezze Berlusconi?
Anche a me piacerebbe saperlo… Siamo molto curiosi che ce lo spieghi ma lui non ce lo spiega mai. Sappiamo che non si sa. Sappiamo che quando glielo chiedono, lui non ce lo dice. Nel suo libro, un fotoromanzo, “La storia Italiana”, che ha venduto milioni di copie nell’ultima campagna elettorale del 2001, lui dice che tutto nacque dalla liquidazione di suo padre, 70 milioni di lire. Però il vice-direttore della Banca d’Italia, incaricato dalla Procura, ha scoperto che oltre i 70 milioni, Berlusconi ha poi trovato sotto un tavolo 113 miliardi di lire tra il ‘78 e l’‘83. Fermo restando i 70 milioni, sarebbe interessante sapere da dove arrivano i 113 miliardi. Ma lui sui 113 miliardi non si pronuncia. Quando al tribunale gli hanno chiesto delle spiegazioni, lui si è avvalso della facoltà di non rispondere. Gliel’hanno chiesto tutti, gliel’ha chiesto anche l’Economist, ma lui non risponde. A lui basterebbe dire che li ha trovati nelle patatine, nel Dixan, sotto la porta una mattina oppure che gliel’ha portati la cicogna. Se non lo dice, vuol dire che non può dirlo…

Come si è concluso il processo-Andreotti?
Il processo-Andreotti si è concluso con la dichiarazione di colpevolezza dell’imputato fino alla primavera del 1980. È stato riconosciuto dalla corte d’appello di Palermo colpevole di associazione a delinquere con la mafia fino alla primavera del 1980, reato che si era prescritto un anno prima. Quindi, se il processo fosse durato un anno di meno, lui sarebbe stato condannato per associazione a delinquere con la mafia. Tra l’altro è un bel periodo per uno che ha cominciato nel ‘45: trentacinque anni non sono male dopo tutto.
A noi popolo semplice hanno fatto credere che era stato assolto anche in appello, ma lui se ne deve essere accorto che non era vero, visto che ha fatto ricorso in cassazione chiedendo l’annullamento della prescrizione, chiedendo l’assoluzione. Si vede che non l’aveva avuta l’assoluzione! Altrimenti non si è mai visto uno assolto che ricorre in cassazione contro la propria assoluzione… un suicida. Il suo problema è che anche la cassazione ha confermato la sentenza di appello e lo ha condannato a pagare le spese processuali.
Il limite della data del 1980 non è un’idea balzana dei giudici, ma è la data dell’ultimo incontro che Andreotti ha avuto con Bontade. Il primo l’ha avuto prima del delitto-Mattarella. In quell’incontro Bontade preannunciò ad Andreotti il progetto del delitto, ma dato che Andreotti non aveva avvertito Mattarella del pericolo incombente, questo fu ammazzato. In seguito Andreotti scese di nuovo in Sicilia a incontrare Bontade per chiedere informazioni sul delitto e Bontade gli rispose “l’avevamo avvertita”. Questo è l’ultimo incontro che i giudici ritengono accertato. Poi ci sono altri incontri successivi con mafiosi, ma non si ritiene che siano sufficienti a stabilire che Andreotti era ancora organicamente legato alla mafia dopo l’‘80, anche perché poi Bontade venne ucciso dai corleonesi e perché cambiarono tutti gli equilibri. Così ora tutti sappiamo – o meglio non sappiamo – che siamo stati governati da un mafioso fino all’‘80.

Ci dia due motivi per cui ritenere Berlusconi un criminale.
Termine appropriato. Basta leggere le sentenze, ci sono delle sentenze che lo riconoscono responsabile di gravi reati. La prima è dell’‘89: lui era colpevole di falsa testimonianza sulla sua iscrizione alla P2, reato commesso ma coperto dall’amnistia che nel frattempo era stata fatta. E questa è una sentenza di Venezia, definitiva. Poi c’è la sentenza all’Iberian: condannato in primo grado, prescritto in appello, prescritto in cassazione: 21 miliardi di tangenti a Craxi. Esito del processo: colpevoli sia Berlusconi che Craxi in maniera definitiva. Il processo è finito in prescrizione, ma il reato è stato commesso. D’altronde quello che a noi interessa è se Berlusconi l’aveva o non l’aveva commesso, non se va in galera o non va in galera. Certo, se andasse in galera sarebbe anche meglio, ma non si può avere tutto dalla vita.
Anche questo è un reato accertato. Altri reati accertati sono una serie di falsi in bilancio e fondi neri dalla parte dei vari processi per il falso in bilancio, come quello dei 1500 miliardi delle sue società off-shore, che erano 64. Ci sono altri processi del genere, ma sono tutti finiti in prescrizione, visto che ha cambiato la legge sul falso in bilancio.
Quelli citati sono tutti reati commessi, accertati e documentati. Poi ci sono addirittura reati fiscali che lui ha accusato di aver commesso da politico, nel periodo che va dal ‘94 al ’99, ma quella è un’altra storia.

È vero che Berlusconi era in contatto con i mafiosi che hanno organizzato le stragi di Via D’Amelio e di Capaci?
Questo non lo sappiamo, però sappiamo che ha avuto rapporti con i mafiosi. Uno se l’è pure tenuto in casa per due anni, Vittorio Mangano. Era Dell’Utri che gli gestiva i rapporti con la mafia. Infatti, che Dell’Utri abbia conosciuto, incontrato e frequentato una dozzina di mafiosi è sicuro, proprio perché risulta da quello che dice lui stesso, poi accertato con documentazioni, testimonianze, intercettazioni, filmati, documenti scritti, agende, tabulati, eccetera. Che Berlusconi si sia messo d’accordo per le stragi, questa era l’ipotesi che avevano formulato separatamente la procura di Caltanissetta per le stragi di Falcone e Borsellino e la procura di Firenze per le stragi di Roma e Firenze. Ma poi le indagini sia a Berlusconi, sia a Dell’Utri sono state archiviate e noi dobbiamo rispettare l’archiviazione. L’archiviazione non significa però che i due indagati fossero innocenti, ma significa che non c’erano elementi sufficienti per poter sostenere un’accusa contro di loro in un eventuale processo, anche se dalle pur insufficienti indagini sono emersi degli elementi che fanno rilevare che l’ipotesi fosse tutt’altro che infondata.
Bisognerebbe continuare a lavorarci, sui mandanti esterni, ma da quando non c’è più Caselli alla Procura di Palermo, da quando non c’è più Scaroni alla Procura di Caltanissetta e da quando Grasso ha estromesso tutti quelli che si stavano occupando dei mandanti esterni, di fatto non si sa molto su chi essi siano.

Ha mai ricevuto delle minacce?
No, a meno che non siano da ritenersi minacce tutte le denunce che fanno o il fatto che non posso più mettere il naso in televisione. Ma delle minacce dirette no. Quelli non minacciano: quando colpiscono, lo fanno senza avvertire. Ma non credo che ritengano pericoloso uno come me. Certo, se non ci fossi sarebbe meglio. Però, sai, un conto è se io fossi in televisione a parlare di queste cose a milioni di persone, mentre invece ci sono loro, e un conto è che io scriva dei libri e parli con qualche decina di migliaia di persone. Sono piccoli numeri questi…

Nelle mani di quale uomo, non necessariamente politico, metterebbe l’Italia? A me piacerebbe metterla nelle mani del professor (Giovanni) Sartori, oppure in quelle di Cordero… Ma ci sono anche nell’ambito politico persone che lottano seriamente per la legalità, anche lì in Sicilia. Da voi conosco il sindaco di Gela, Crocetta, un personaggio fantastico; conosco Claudio Fava, Nando dalla Chiesa. Ma non necessariamente gente di sinistra, appunto dicevo Sartori. Ci vorrebbero un po’ di persone serie e per bene che non abbiano rapporti con la stagione dei compromessi, che non siano ricattate né ricattabili, che non abbiano cambiali da incassare o da fare incassare, e che quindi possano ripartire da zero, come ha fatto Zapatero, che non deve rendere conto a nessuno e fa solo quello che ritiene giusto – anche se non è per forza tutto giusto quel che fa –, confrontandosi solo con i suoi elettori.

Come reagirebbe lei a una rielezione di Berlusconi?
Maluccio, direi. Reagirei male perché mi porrei delle domande. Mi porrei la domanda se non sia davvero il presidente ideale per l’Italia. Quando l’Economist si poneva questa domanda, io so cosa volevano dire: volevano dire che è incapace di governare l’Italia. E avevano ragione. Ma che non sia l’uomo adatto, questo non lo so. Se lo mandiamo a casa, probabilmente vorrà dire che gli italiani sono maturati. Come diceva Montanelli, dopo cinque anni che se lo bevono avranno maturato il vaccino. Se dovesse rivincere vorrebbe dire che proprio ce lo meritiamo, anche perché abbiamo un’opposizione che francamente ti fa cadere le palle. E questa sarebbe un’ulteriore dimostrazione che questa opposizione si merita Berlusconi. Però non voglio neanche pensarci, anche perché non credo che nessun Paese, nemmeno un Paese che ne ha viste tante come l’Italia, potrebbe sopravvivere davvero ad altri cinque anni di questa banda qua.

Quale potrebbe essere, secondo lei, un Paese modello per l’Italia?
Paesi modello non ce ne sono, nel senso che noi potremmo essere modelli a noi stessi in certe stagioni. Noi abbiamo vissuto tra il ‘92 e il ‘93, poi di nuovo tra il 2002 e il 2003, delle stagioni da un lato dolorose, perché da un lato c’erano le bombe e dall’altro lato c’era Berlusconi, però delle stagioni in cui la società civile ha partecipato e ha reso possibile delle grandi cose. Abbiamo visto processare i potenti, tra il ‘92 e il ‘93, abbiamo visto scendere in piazza la gente per difendere una categoria da sempre guardata con sospetto, come la magistratura. Ci si è affezionati alla legalità, alla polizia, alla lotta alla mafia. Si sono ottenuti grandi risultati su tutti i fronti. Quindi, possiamo benissimo imparare da noi stessi, possiamo imparare dalle stagioni migliori della nostra storia, senza inseguire modelli stranieri che sono impraticabili, perché noi siamo abbastanza unici. Bisognerebbe cercare di riprodurre le condizioni che hanno reso possibili quelle importantissime parentesi. Quando l’informazione fa il suo dovere senza condizionamenti, la magistratura idem, la società civile parteggia per le guardie anziché per i ladri, tutto questo rende possibili dei miracoli, anche in Italia. Bisogna cercare di ripetere quelle condizioni ancestrali, rendendole più stabili e normali.

Reputa credibile il programma della sinistra oppure votare la sinistra è diventato un modo per non votare Berlusconi?
Intanto il programma della sinistra ti dirò se sarà credibile quando lo faranno, perché per il momento non se ne vede traccia. Ci sono circa dodici programmi della sinistra, quanti sono i partiti. Anzi ci sono partiti che ne hanno anche due o tre, perciò si arriva a circa diciotto programmi della sinistra. Ne aspetterei uno, anche perché leggere il programma di Mastella mi sembra eccessivo… Vediamo che cosa fanno. Credo che Prodi abbia un progetto in testa e che stiano lavorando per impedirgli di realizzarlo, i suoi cosiddetti alleati. Però mi fido abbastanza di lui. Penso che un buon periodo sia stato il suo governo, infatti poi l’hanno segato. Per quanto riguarda il diritto di voto, io ho sempre votato contro qualcuno. Io quando c’era il Comunismo votavo Scalfaro o dei liberali di cui mi fidavo. Non ho mai votato con entusiasmo a favore di qualcuno. Quando è caduto il Comunismo, mi sono occupato dei nuovi pericoli. Berlusconi era sicuramente “il” pericolo. Quindi ho cominciato a votare contro di lui, anche se mi toccava votare per questo Centro Sinistra che, all’epoca, ancora non avevo visto all’opera. Poi quando l’ho visto all’opera, ho capito che aveva un unico merito, quello di non essere Berlusconi. Ma è un po’ poco. Ora come ora credo che il problema sia ancora quello. Che loro non sono Berlusconi e quindi che bisogna votarli. Ma non vedo altri motivi per votarli. Poi magari ci stupiscono tutti con effetti speciali e con un programma miracoloso e mirabolante, spero. Spero che lo realizzino soprattutto, perché il programma era bello anche quello del ‘96, poi hanno approvato quello di Previti, che le elezioni le aveva perse, e quello di Confalonieri, che le elezioni non le aveva nemmeno fatte. Quindi mi auguro non solo che il programma sia bello, ma che poi si ricordino di applicarlo. Per il momento, è già un miracolo se andiamo a votare. Quindi teniamoci stretto il voto, il voto può essere anche utile per votare contro. D’altronde è abbastanza divertente anche tifare contro il Milan. Non necessariamente fare una cosa “contro” è male. Io mi diverto molto anche quando il Milan perde col Liverpool 3 a 0. Votare contro in questo momento, penso possa essere abbastanza doloroso…

19 ottobre 2005

E' in corso il processo a Saddam Hussein

BAGDAD - Tra misure di sicurezza a Bagdad e manifestazioni in suo favore nelle zone sunnite, è iniziato mercoledì in Iraq il processo a carico di Saddam Hussein.

«NON RICONOSCO QUESTO TRIBUNALE» - Saddam ha iniziato subito attaccando: «Non risponderò a nessuna domanda di questo tribunale di cui non riconosco nessuna legittimità. Per rispetto al glorioso popolo iracheno, rifiuto di rispondere, perché questo tribunale è illegale», ha detto replicando al presidente Amin che gli aveva chiesto di declinare le proprie generalità («Io sono il presidente della Repubblica dell'Iraq, tu mi conosci bene»). Anche gli altri sette imputati hanno rifiutato di dire la propria identità e poi si sono rimessi i vestiti tradizionali iracheni. Saddam è entrato in aula camminando molto lentamente e portando in mano una copia del Corano.

IL GIUDICE È CURDO - Il presidente del tribunale è Rizgar Mohammed Amin (un curdo), a capo di altri quattro giudici che non appariranno per motivi di sicurezza. Ai giornalisti è stata consegnata copia del piano del processo», in cui saranno presenti tredici avvocati in difesa degli otto imputati. Cinque sono gli stenografi, tutti iracheni, mentre i testimoni dell’accusa non appariranno per motivi di sicurezza, come anche i cinque rappresentanti della pubblica accusa a eccezione del Pubblico ministero: Jaafar Al Mousawi, uno sciita. Le gabbie sono state numerate da 1 a 8, la prima delle quali è stata occupata da Saddam Hussein. Le altre sono state predisposte per l'ex vice presidente Taha Yassin Ramadan; il fratellastro di Saddam ed ex capo dei servizi segreti Barzan al-Tikriti; l'ex procuratore capo del tribunale rivoluzionario del deposto regime Awad al-Bander; e quattro dirigenti del disciolto partito Baath: Abdallah e Mizar Rueid, Ali e Mohammed al-Ali.


Fonte: www.corriere.it

17 ottobre 2005

Prodi ha vinto...Berlusconi ribatte!

Romano Prodi esce da trionfatore in una domenica di adrenalina, rivincita e orgoglio per l'Unione che ha scelto a furor di popolo il leader che correrà alle politiche del 2006. «La democrazia ha già vinto», esulta a metà pomeriggio il Professore quando già può toccare con mano «la partecipazione da sogno», le code di elettori ai seggi che si prolungano fino a sera inoltrata, le schede esaurite che costringono gli scrutatori-volontari a mettere mano alla fotocopiatrice. «Qualcosa di straordinario è accaduto. Mai niente di simile in Europa. Siamo andati oltre ogni sogno. Confesso sono euforico», sorride Prodi assediato dalle troupe televisive. «Lavorerò per un nuovo Ulivo. L'inequivocabile risposta che dobbiamo dare è unità, io lavorerò per un vero Ulivo e una grande Unione», annuncia. Bertinotti lo stoppa subito. Liste dell'Unione alla Camera e al Senato? E' escluso. «È ragionevole - spiega il segretario del Prc - che siano rappresentati l'Unione e il pluralismo dell'Unione che non è una caserma, come la Cdl, dove tutto si riduce ad uno». Anche lo Sdi non cambia idea: alle politiche i socialisti di Boselli andranno con una lista insieme ai socialisti del Nuovo Psi e ai Radicali. Rutelli, colui che ha già affossato la lista uniti nell'Ulivo, preferisce glissare: «Al dopo penseremo dopo».

Berlusconi non si tira indietro:«Prodi ha un solo modo per vincere le elezioni: far votare solo quelli della sinistra, proprio come ha fatto oggi». Il dileggio del premier sulle primarie arriva a metà sera. Quando l'Unione al completo ha parlato di «giornata storica» per la democrazia e dopo che un entusiasta Prodi ha letto dietro l'affluenza record alle urne il segnale inequivocabile che gli italiani «vogliono mandare a casa» l'attuale inquilino di Palazzo Chigi che reagisce con una nota vergata di suo pugno e intrisa di sarcasmo. Quanto basta per provocare la contro-replica, altrettanto urticante, del Professore. «Ma stia zitto Berlusconi, non ne ha avuto abbastanza oggi?».
Nel resto della Cdl, pur con accenti diversi, si definisce il voto né più né meno che «una sceneggiata», secondo la sintesi di Isabella Bertolinidi Forza Italia. «Le primarie sono una sciocchezza» anche per il ministro per l'Ambiente Altero Matteoli. Più sfumato Sandro Bondi, coordinatore nazionale di Fi, secondo il quale «bisogna avere rispetto della passione politica e civile di quei cittadini che hanno partecipato alle cosiddette primarie, che tuttavia restano un espediente inutile e scontato».

Fonte: www.corriere.it

15 ottobre 2005

Cittadini Illustri d'Isernia: FRANCO CIAMPITTI,TULLIO TEDESCHI & SABINO D'ACUNTO

Ultimo post dedicato ai grandi uomini di Isernia; parlerò di Franco Ciampitti, Tullio Tedeschi e Sabino D'Acunto.

Franco Ciampitti nacque ad Isernia nel 1903 e morì nella stessa nel 1988.
Fu giornalista e scrittore. Con il suo primo romanzo "Novantesimo minuto" ambientato nel mondo del calcio, ottenne il 1° premio della F.I.G.C. Alle Olimpiadi di Berlino nel 1936, il suo romanzo "Cerchi" fu scelto per rappresentare la narrativa sportiva italiana. Tra le sue numerose opere sono da segnalare ancora "Il tratturo" che vinse il premio nazionale D'Annunzio di Pescara, "Il grande viaggio", raccolta di racconti con prefazione di Luigi Volpicelli.

Tullio Tedeschi nacque ad Isernia il 15 luglio 1910 da Felice e da Angiolina Milone. Continuazione: http://www.comune.isernia.it/comeravamo/tullio_tedeschi.pdf

Sabino D’Acunto ha attraversato quasi un secolo. Uomo colto e dai modi cordiali, è stato un protagonista della vita intellettuale del Molise nella seconda metà del Novecento. Nato a Isernia il 22 maggio 1916, si è spento a Sessano del Molise il 9 febbraio scorso. Giornalista, poeta, scrittore, critico, saggista, conferenziere, nonché autore di testi teatrali e di versi per canzoni, ha svolto anche attività politica e il suo impegno sociale non è mai venuto meno.
Vivevamo nella stessa città, addirittura – di recente – nel medesimo condominio. Tuttavia, ci siamo frequentati di rado, quasi fortuitamente. Una volta, col garbo che ne distingueva la personalità, dopo aver letto un breve articolo che gli avevo dedicato su un settimanale [1], mi disse: «Ti chiami come il personaggio d’un mio libro. Mauro è un bel nome. Suona bene». Invece, a mio giudizio, il suo appellativo di battesimo, Sabino, non era granché. Forse per questo, raccontando se stesso in un romanzo, decise di cambiarlo con un nome che “suona bene”.
Abbiamo talvolta agito parallelamente, ma distintamente. È accaduto solo per convergenti interessi che ci legavano alla Pro Loco isernina, negli anni in cui è stata presieduta dal comune amico Franco Cristicini, un periodo nel quale, sia io che D’Acunto, abbiamo realizzato, per conto della stessa Pro Loco, alcune pubblicazioni [2]. Ciò accadde in modo avulso da qualsivoglia intesa cooperativa. Ci separava, in maniera profonda, l’appartenenza a due differenti generazioni; circostanza che non ha impedito fruttuosi incontri occasionali, ma che ha pure causato qualche “scontro”, ancorché mai ostile bensì costruttivo e, ovviamente, limitato al solo àmbito dialettico.
La dimensione intellettuale
Per sfuggire alla dimensione limitante dell’erudito provinciale, D’Acunto ha cercato il confronto col mondo intellettuale nazionale e internazionale. In Italia, tra gli anni Cinquanta e Sessanta, ha stretto legami d’amicizia, collaborazione o semplice conoscenza con alcuni tra i più noti uomini di cultura del XX secolo: i poeti Alfonso Gatto, Vincenzo Cardarelli e Carlo Betocchi, il commediografo Diego Fabbri, gli scrittori Leonardo Sciascia e Mario Praz, il pittore Domenico Cantatore, e altri ancora.
Vari critici si sono interessati alla sua opera. Nel 1975, Carmine Di Biase illustrò il «sentimento» letterario di D’Acunto [3]. Nel 1997, Sebastiano Martelli ne analizzò, con lucida competenza, la narrativa [4]. Di recente, nel 2001, nel volume Vertenza Sud curato da Daniele Giancane, D’Acunto ha trovato posto tra coloro che hanno espresso «valori poetici rimarchevoli».
All’estero, ha stretto rapporti con il letterato guatemalteco Miguel Angel Asturias, con l’artista rumeno Eugen Dragutescu [5], con lo scrittore spagnolo Rafael Lappon, col poeta greco Giorgio N. Carter [6]. Di lui hanno scritto Il Peloponneso di Patrasso, la Poesia Espanola di Madrid, El Diario de Noticias di Lisbona, la Nea Estia di Atene.


Fonte: http://www.comune.isernia.it

14 ottobre 2005

Cittadini Illustri d'Isernia: ONORATO FASCITELLI & GIOVAN VINCENZO CIARLANTI

Il post di oggi è dedicato ad Onorato Fascitelli e a Giovan Vincenzo Ciarlanti.

Onorato Fascitelli nacque ad Isernia nel 1502 e morì a Roma nel 1564.
Figlio di Marco e di Margherita Caracciolo, Onorato Fascitelli studiò dapprima a Napoli, quindi a Montecassino dove divenne monaco benedettino. Trasferitosi a Venezia curò, per i tipi dello stampatore Paolo Manuzio, le edizioni critiche di molte opere classiche. Fu a Roma per un lungo periodo dove si impose nei circoli letterari. Divenne un protagonista della poesia del Cinquecento. Fu amico di Pietro Bembo, fu lodato d Pietro Aretino e apprezzato da Annibal Caro. Da Papa Giulio III fu nominato vescovo e assegnato alla diocesi di Isola (attuale Isola Capo Rizzuto) in Calabria. Il Fascitelli partecipò anche al Concilio di Trento (1545-1563). In suo onore è il liceo classico di Isernia "O. Fascitelli".

Giovan Vincenzo Ciarlanti nacque ad Isernia nel 1593 e morì nella stessa nel 1654.
Apprezzato storico molisano, fu arciprete della chiesa Cattedrale. È autore delle Memorie historiche del Sannio, pubblicate nel 1644 dallo stampatore napoletano Camillo Cavallo. A tale opera continuamente hanno attinto e continuano ad attingere gli storici. Il Ciarlanti scrisse anche Vita e miracoli dei gloriosi martiri SS. Cosma e Damiano e altre opere, rimaste purtroppo inedite.

Fonte: http://www.comune.isernia.it

11 ottobre 2005

Cittadini Illustri d'Isernia: ANDREA D'ISERNIA & CELESTINO V

Oggi parlerò di altri due uomini illustri di Isernia, ovvero Andrea D'Isernia e Celestino V.
Andrea D'Isernia nacque ad Isernia nel 1230 e morì a Napoli nel 1316.
Fu il massino esponente della scuola giuridica isernina. Divenne famoso per la sua produzione nel campo del diritto e venne chiamato "Evangelista feudorum". Operò ai tempi di Carlo I, Carlo II e Roberto d'Angiò, dai quali ricevette molteplici incarichi e privilegi. La sua opera maggiore fu "Commentaria in usus feudorum" alla quale seguirono una "Lectura" delle Costituzioni federiciane e la compilazione dei Riti della Magna Curia dei Maestri Razionali.


Papa Celestino V


Celestino V nacque nel 1209(1215?) in provincia di Terra di Lavoro.
Nato da genitori di umili condizioni, Pietro Angelerio studiò nell'abbazia di Santa Maria di Faifoli, in territorio di Montagano (Cb); scelse quindi la vita eremitica. Fondò decine di monasteri e istituì un nuovo ordine monastico: i Celestini. Ad Isernia fondò il monastero di Santo Spirito e l'associazione "Frataria" ispirata ai principi della carità, della fratellanza e della solidarietà. Fu eletto Papa nel conclave di Perugia il 5 luglio 1294 col nome di Celestino V; ma dopo poco più di cinque mesi, il 13 dicembre dello stesso anno, rinunciò al Pontificato. A seguito della sua rinuncia, fu perseguitato da Bonifacio VIII, suo successore, dal quale venne rinchiuso nel castello di Fumone (FR) dove la sua bella anima si svincolò dall'aborrita carcassa di carne e ossa, per raggiungere la meta da sempre sognata, Dio, il 19 maggio del 1296. Celestino V fu elevato agli onori degli altari nel 1313.


Perché Dante considerò papa Celestino V un "vile" (Inferno, III, 60)?
Dopo aver accettato il pontificato nel 1294, all'età di 79 anni, Celestino V -pressato dalle forze integraliste della curia romana- abdicò dopo solo cinque mesi e morì assassinato nel 1296. Era un benedettino, ma di tipo eremitico. Le sue origini sociali erano contadine.
Perché dunque accettò l'incarico? Probabilmente per "spirito di obbedienza", o forse perché s'illudeva di poter dare un contributo alla risoluzione della crisi generale della chiesa, o forse perché non aveva capito le strumentalizzazioni che si stavano operando dietro la sua nomina…
Fatto sta che anche il Petrarca lo considerò un "vile" (De vita solitaria, III, 27). Tuttavia -a differenza di Dante, che vedeva le cose in maniera alquanto idealistica-, il Petrarca ritenne che quella rinuncia fosse stata "utile a lui e al mondo per l'inesperienza degli affari, perché era uomo di assidua contemplazione, per l'amore alla solitudine".
Il Petrarca, in un certo senso, mostrava più pragmatismo di Dante, per quanto nessuno dei due mise mai in discussione il fatto che il papato dovesse avere un ruolo politico.
Dante infatti voleva un pontefice disposto a collaborare, alla pari, coll'imperatore: quale delusione dovette subire quando vide che dopo Celestino salì al soglio Bonifacio VIII, la quintessenza del conservatorismo! Proprio Bonifacio VIII sarà causa del suo esilio da Firenze e -a suo giudizio- causa ultima della rovina della stessa città.
Viceversa, il Petrarca voleva soltanto un pontefice "capace", "affidabile", come avrebbe dovuto essere nella migliore tradizione della chiesa cattolica.
Nessuno dei due seppe mai valorizzare, sul piano umano e politico, il rifiuto di Celestino V.
Va però detto che Dante non nomina mai il pontefice, pur essendo l'unico ch'egli riconosca nel girone degli ignavi.
Probabilmente ciò è dovuto al fatto che, pur dovendolo condannare, come politico, alle pene eterne dell'inferno, come uomo invece non se la sente d'infierire su un personaggio la cui unica colpa fu la debolezza di non saper regnare. Ecco perché lo riconosce soltanto, senza incontrarlo.
Dante non può mettersi a parlare sul piano umano con una persona cui non riconosce neppure il titolo di "avversario politico".
Dante sta a Machiavelli come Petrarca sta a Guicciardini.

Fonti:
www.comune.isernia.it; www.cronologia.it

10 ottobre 2005

Cittadini Illustri d'Isernia: ENRICO D'ISERNIA

Inizio oggi la rassegna dedicata ai più celebri cittadini di Isernia, saranno 8 i personaggi di cui parlerò. Il primo è Enrico D'Isernia.
Enrico D'Isernia nacque ad Isernia nel 1209 e morì a Praga nel 1278.
Fu un giurista di fama, pagò la fedeltà al duca di Celano, di parte guelfa, nella lotta contro gli Svevi. Dopo il suo passaggio alla fazione ghibellina, partecipò alla famosa battaglia di Tagliacozzo a sostegno di Corradino; a seguito della disfatta del giovane svevo, Enrico d'Isernia venne perseguitato e dovette rifugiarsi all'estero. Dopo varie peripezie, approdò in Boemia dove si fece valere per i suoi studi giuridici e divenne notaio del re Ottokar II.
Per maggiori informazioni a riguardo consultate il libro "Isernia l'onomastica storica" di Fernando Cefalogli; questo volume è l'invito a ripercorrere la storia bimillenaria della città di Isernia attraverso i nomi dei vicoli, delle vie e delle piazze del centro storico; in questa parte della città sono presenti ancora dei toponimi (Cortevecchia, Giardini, Cartiera, Molini, Mercatello, Casale) che riportano ad antiche funzioni, vi sono indicazioni stradali riferite a chiese e conventi (S.Maria, S. Antonio, S.Domenico, Purgatorio), alcuni dei quali non più esistenti. La maggior parte però dei nomi delle strade (scelti dagli amministratori comunali nel 1871 in occasione del secondo censimento generale con aggiunte apportate nel I e II dopoguerra) è riferita a personaggi, più o meno illustri, nati o vissuti a Isernia ed appartenenti a diverse epoche storiche. Se Erennio Ponzio riporta all'antico Sannio e alle sanguinose e devastanti guerre che i Sanniti combatterono contro Roma per la supremazia in Italia, i Marcello e Ciro Marillo riportano al mondo romano, periodo in cui Isernia conobbe un notevole splendore del quale permangono significative tracce e testimonianze. Dell'età longobarda è, invece, il riferimento al conte Landenolfo che fece restaurare il monastero di S. Maria delle Monache Benedettine ed edificare il campanile di pertinenza di detto monastero. I grandi giuristi Enrico, Benedetto e Andrea d'Isernia che nel Medio Evo dettero vita a quella importante "Scuola giuridica" isernina di livello nazionale ed europeo. Non manca una piazza dedicata a Papa Celestino V, universalmente conosciuto come "colui che fece per viltade il gran rifiuto". Dai vescovi (Fascitelli, Sanfelice) che parteciparono al Concilio di Trento, agli storici (Ciarlanti, Ricci), alle grandi famiglie (d'Afflitto, Pace, Magnanti), ai caduti della prima guerra mondiale, secoli di storia scorrono nella nostra mente passeggiando per i vicoli e le strade di Isernia.
Voglio ricordare che Fernando Cefalogli è direttore della Biblioteca civica e Archivio storico "M. Romano" di Isernia. Dal 1969 al 1983 è stato animatore nel Centro di Servizi Culturali ISPES di Isernia, oggi Biblioteca comunale "F. Ciampitti". Impegnato fin da giovane in politica e nel sociale, è stato consigliere comunale e provinciale di Isernia. Ha al suo attivo numerosi articoli e saggi per giornali e riviste locali e una guida sulla storia e il patrimonio della Biblioteca civica, pubblicato per conto del Comune di Isernia. Da diverso tempo si dedica all'attività di ricerca nell'ambito della storia regionale, con particolare riferimento alla città di Isernia.

Fonti: www.comune.isernia.it; www.cosmoiannone.it

08 ottobre 2005

Sisma tra India e Pakistan: migliaia di morti


ISLAMABAD (PAKISTAN) - Un forte terremoto, di intensità pari a 7,8 gradi della scala Richter, ha investito il Pakistan, la regione himalayana al confine con l'India e l'Afghanistan orientale. Manca ancora un bilancio definitivo delle vittime, ma secondo quanto riferito dal portavoce del presidente pakistano Pervez Musharraf, il maggiore generale Shaukrat Sultan, potrebbero essere migliaia. Il presidente pakistano Musharraf, visitando un quartiere della capitale devastato dal sisma, ha detto che «il Paese è messo a dura prova». Il ministro dell'Interno di Islamabad, Aftab Ahmed Sherpao, parlando all'emittente Geo ha detto che i morti sarebbero centinaia.

«Si può senz'altro affermare che è stato uno dei terremoti più forti mai sperimentati in città», ha dichiarato Mohammad Hanif, portavoce del Dipartimento Meteorologico pakistano. La prima scossa si è scatenata intorno alle 8,55 locali, seguita poi da un'altra a distanza di pochi minuti. Notizie ancora da verificare, provenienti da diverse città e villaggi nel nord del Paese, denunciano cedimenti strutturali e abbattimenti di palazzi anche altrove. Le autorità indiane dal canto loro hanno reso noto che le scosse si sono sentite in vari Stati centrali e settentrionali. «La gente è ancora radunata all'esterno, hanno paura di rientrare in casa»: così ha descritto la situazione un anonimo abitante di Delhi, citato da fonti giornalistiche presenti alla scena. La zona interessata dal fenomeno è a elevata attività sismica; da tempo gli esperti preannunciavano che nell'Himalaya a breve termine si sarebbe verificato un terremoto di ingenti proporzioni.

Fonte: www.corriere.it

07 ottobre 2005

Documento del papa contro i preti gay

CITTA’ DEL VATICANO - Non vanno «ammessi al sacerdozio» candidati che rivelano tendenza omosessuale se non dimostrano di riuscire a vivere «castamente» da almeno un triennio. Verranno esclusi anche quanti manifestano pubblicamente la loro omosessualità e quelli che rivelano un’attrazione invincibile, anche se solo intellettuale, per la «cultura omosessuale». Sono indiscrezioni «verbali» sul contenuto di un documento vaticano che il Papa ha da poco approvato e che verrà pubblicato forse all’inizio di novembre. Si tratterebbe di un’«istruzione» di 16 pagine, firmata dal cardinale polacco Zenon Grocholewski, prefetto della Congregazione per l’Educazione cattolica (Seminari e Istituti di studi).
Essendo - secondo il magistero cattolico - «gli atti di omosessualità intrinsecamente disordinati», da sempre nelle direttive per la «formazione dei candidati al sacerdozio» c’era l’invito a un vaglio più accurato di seminaristi e novizi che rivelassero tendenze omosessuali. L’istruzione che sta per essere pubblicata ne sostituisce una del 1961, aggiornandola alle acquisizioni medico-psicologiche in materia e tenendo conto dello «scandalo dei preti pedofili statunitensi», che per l’80% dei casi - secondo un’indagine dell’episcopato Usa pubblicata nel 2004 - riguardava rapporti omosessuali e solo per il resto veri e propri episodi di pedofilia.
Il rapporto su quell’indagine affermava che «ci sono molti eccellenti preti di orientamento omosessuale che vivono una vita celibe e casta», ma invitava anche a «una più accurata selezione, formazione e supervisione» dei candidati per appurare la loro capacità di vivere in maniera «matura» quell’inclinazione. Per l’«istruzione» vaticana, non mostra adeguata capacità di autocontrollo e quindi non può essere «ordinato prete» chi non vive «in castità» da almeno tre anni: verranno cioè esclusi i «candidati» che hanno avuto rapporti omosessuali lungo l’ultimo triennio dell’iter formativo. Un secondo titolo per l’esclusione verrebbe dalla dichiarazione pubblica della propria inclinazione omosessuale e si può immaginare che riguardi ogni forma di «ostentazione» dell’orientamento gay, dalla partecipazione a raduni alla frequentazione di club.
Infine la terza fattispecie: non verrebbe ammesso chi non riesce a controllare il proprio interesse culturale per il pianeta omosessuale, magari coltivato nel chiuso della propria camera: letture, film, Internet e simili.
La Conferenza episcopale italiana ha in preparazione una «nota» sulla formazione dei sacerdoti che - a quanto ci risulta - dovrebbe avere toni anche più severi rispetto all’istruzione vaticana. Ma verrà pubblicata dopo il documento vaticano, per poterne «recepire» le indicazioni.

06 ottobre 2005

In Germania una nuova moneta parallela all'Euro

Il vecchio continente non si è ancora abituato all'euro, quand'ecco che, per conforto e convenienza, la Germania si affida anche a una "moneta parallela", chiamata "Regiogeld". Vale a dire ad una sorta di moneta regionale di necessità, che si mette in parallelo nel rapporto di uno a uno con quel mezzo di pagamento ufficiale che resta pur sempre l'euro. Una "moneta parallela" che diventa in pratica un bene economico intermediario - accettato pro tempore in un determinato territorio - per l'acquisto di beni e servizi. Senza che possa sostituirsi all'euro ma solo integrarlo - là dove occorra - nelle sue funzioni istituzionali. Il "Regiogeld" persegue infatti il fine di riattivare, intensificare e proteggere le relazioni economiche nell'ambito regionale. Sempreché esso riesca a stimolare il consumo locale con una piena trasparenza dei prezzi, privilegiando i piccoli e medi produttori e i commerciantidella regione. Il che ci rimanda alla lontana origine della moneta, che fu incontestabile creazione dell'economia mercantile e non già degli stati o dei comuni. Dal febbraio scorso circola anche nella capitale federale della Germania e come suo primo passo solo nel quartiere centrale Prenzlauer Berg - il più politicizzato della metropoli sulla Sprea - la "moneta parallela" regionale chiamata per unità Berliner. Una misura di valore e un mezzo di pagamento, con tagli cartacei per ora solo da 10 Berliner colore verde, da 5 colore azzurro e da uno colore arancione.
Su queste singolari "banconote" campeggia il contrassegno di "August 2005". Per avvertire che esse manterranno il loro valore di 1 a 1 rispetto all'euro sino a quella data. Dopo di che le stesse potranno venire ricambiate in euro o in una loro serie successiva, subendo unasvalutazione del 5 per cento. Una scrematura percentuale che va però a finire nelle casse degli enti locali di pubblica utilità o di interesse collettivo. Si tratta insomma di un accorgimento monetario che si prefigge di trattenere la ricchezza prodotta nella stessa regione, promuovendo fermamente il consumo interno per sostenere gli operatori locali. "Sta di fatto - spiega al riguardo il settimanale Das Parlament, orga-no ufficiale del Bundestag - che i circuiti economici regionali tedeschi devono subire forti cedimenti a causa della globalizzazione e del multilateralismo imprenditoriale. Ragion per cui è bene che sia ilcomportamento dei consumatori a stabilire quale genere di economia vada sostenuto, secondo il principio che la domanda determina l'offerta". E' stato il Presidente del Bundestag, Wolfgang Thierse (Spd), a compiere il primo passo per sottolineare il significato intimo dell'istituzione del Berliner, come fattore di promozione dell'economia berlinese. Egli si è recato, accompagnato dai fotoreporter, a fare acquisti alimentari nel quartiere Prenzlauer Berg - dove abita da decenni - e ha pagato il conto con la "moneta parallela" da poco circolante nella capitale.
A rompere il ghiaccio in Germania fu però la città anseatica di Brema - uno dei 16 Länder federali - che istituì due anni e mezzo fa la prima "moneta paral-lela" tedesca, che assunse il nome di Roland, per rievocare l'illustre figura del nipote di Carlo magno, divenuto ilsimbolo della stessa città. Cinquanta città tedesche, grandi e piccole, sono ora in procinto di far proprio il modello del "Regiogeld". Dieci città lo hanno già adottato. Cinque di esse meritano una particolare menzione per il successo già conseguito con il loro modello monetario regionale dinecessità. Sono Prien in Baviera con il Chiemgauer, Dresda con l'Elbtaler, Berchtesgaden, con lo Sterntaler, Güsen (Sachsen-Anhalt), con Urstromtaler e Gies-sen (Assia) con lo Justus. Düsseldorf, la capitale del più popoloso Land tedesco NRW, metterà in circolazione ilsuo "Rheingold" con tagli da 1, 5, 10, 20 e 50 unità-moneta, a partire dal luglio prossimo. A Friburgo, la moneta si chiamerà "Breisgauer Regio". Sembra di poter dire a questo punto che a fianco dell'Europa delle regioni si stia profilando anche un'Europa d elle "valute parallele". Infatti si può ritenere che il sistema monetario europeo possa stabilizzarsi nel prossimo futuro su due livelli: quello superiore e forte dell'euro e quello inferiore e più flessibile delle citate"valute parallele".

Fonte: www.carta.org

05 ottobre 2005

Canada: virus misterioso uccide 10 persone

TORONTO - Un virus ancora non identificato ha ucciso dieci delle 84 persone che sono state colpite in una casa di riposo per anziani a Toronto, in Canada. Altre 40 persone sono state ricoverate in ospedale. Si tratta di una malattia delle vie respiratorie che ha interessato 70 degenti, dodici dipendenti e due visitatori. I laboratori della sanità canadese non hanno ancora identificato la causa dell'epidemia, ma escludono che si tratti di Sars (che nel 2003 colpì Toronto provocando 44 morti), febbre dei polli, morbo del legionario o semplice influenza. Le vittime avevano tutte un'eta tra 50 e 95 anni, in ogni caso le autorità stanno cercando di rintracciare chiunque sia entrato recentemente nella casa di riposo. Quel che è certo è che il tasso di mortalità è molto alto (12%, più della Sars il cui tasso - già elevato - era risultato inferiore al 10%), ma secondo gli esperti sanitari canadasi il caso è stato circoscritto pur se ammettono che «probabilmente non si saprà mai che tipo di virus abbia causato i decessi».

Fonte: www.corriere.it

04 ottobre 2005

E' morto Franco Scoglio


Essendo un grande amante dello sport in generale,ma del calcio soprattutto,vorrei dedicare questo post al mitico Professore Scoglio,che purtroppo ieri sera ci ha lasciati all'età di 64 anni.

E’ morto così, da un momento all’altro, in diretta, senza saperlo, senza immaginarlo, senza prevederlo - lui che tutto sapeva, immaginava e prevedeva -. Franco Scoglio è morto lunedì sera, in tv: non davanti alla tv, come uno spettatore qualsiasi, ma nella tv, dentro lo schermo, dentro uno studio, con il microfono attaccato alla giacca, la spia rossa accesa, gli ospiti collegati per telefono, la pubblicità che smorza le polemiche ma non gli infarti. E’ morto parlando di calcio, che era la sua passione, la sua vita. E’ morto - viene da dire - per troppo calcio, per troppa passione, per troppa vita. E’ morto pensando e parlando del Genoa, che era la somma di tutto questo: calcio, passione, vita e, in quell’istante, addirittura morte.
In fondo, avrebbe detto Scoglio, la morte è nient’altro che l’ultimo atto della vita, un gran gol in zona Cesarini. Scoglio è morto negli studi di Primocanale, emittente tv di Genova, ospite del programma intitolato "Gradinata Nord" e a Marassi la Gradinata Nord è la cattedrale del tifo rossoblù, un monumento storico, nazionale, umano, un coro di 15 mila cuori, anime, fantasie. Aveva avuto una vivace discussione per telefono con Enrico Preziosi, patron del Genoa. Poi un malore. Il cuore, si dice sempre, in questi casi. Un bicchiere d’acqua, no, programma sospeso. Soccorsi. Niente da fare. Si è capito subito che stavolta non ci sarebbe stata nessuna ripartenza, solo un maledetto fuorigioco.
Facile dire, adesso: quelle trasmissioni, quei processi, quegli appelli sono dei falò, degli incendi, sono dei festival di ugole e giugulari, sono il peggio del calcio. Aria fritta, aria marcia, malaria. Sono dei teatrini, dove si arrabbiano e s’insultano, poi appena s’interrompe il collegamento, tarallucci e vino, caffè e brioche, pacche sulle spalle, ciao ci vediamo la prossima settimana. Ma Scoglio no. Lui ormai frequentava più gli studi che i campi, e di questo si dispiaceva. Ma per fingere, non fingeva mai. Non parlava per contratto, non obiettava per soldi, non discuteva perché costretto. Lui, di quei teatrini televisivi, era l’unico personaggio vero, autentico, originale. Tuonava, sognava, sempre soffriva, raramente rideva.
Scoglio era così com’era: burbero, vulcanico, scoppiettante, ciclopico e ciclonico, probabilmente folle, o comunque attraversato da qualche vena di pazzia, intesa come quel territorio oltre la frontiera della normalità, e certo della banalità. Era provocatore, integralista, scontroso. Lo dichiarava lui stesso: "Voglio essere antipatico, scorbutico, rispettato e, possibilmente, odiato". Ma era se stesso. Era Scoglio. Era il Professore. Prendere o lasciare. Era quello capace di metterti le mani addosso, ma nel senso di un abbraccio, fatto con le braccia, appunto, però sentito e vissuto e dettato dal cuore. Era quello pronto a frugare nella memoria e ripescare un antico articolo, ormai dimenticato perfino dagli archivisti, ma non dai labirinti e dai meandri della sua formidabile memoria, e poi abile a selezionare un aggettivo usato, e - per lui - sbagliato.
Era quello disposto ad abbandonare la famiglia e trasformarsi in un carcerato per studiare il sistema dell’uomo in più. Era quello che rispondeva, quasi svogliatamente, al telefono, "hello", e poi ti travolgeva con uno tsunami di schemi, giocatori, formule. "Ad minchiam" l’ha inventato lui. E poi zona sporca, meccanismo di pressing a L rovesciata, 21 diversi modi di battere un calcio d’angolo. Stupiva, scopriva, sorprendeva. Spiazzava. Era quello che ha evangelizzato e colonizzato la Tunisia, e la fotografia che gli stava più a cuore era quella in cui lui, seduto, firmava autografi e regalava carezze a bambini che indossavano magliette come quelle di Khaled Badra e Hassen Gabsi.
Era quello che i calciatori li allenava facendoli giocare a rugby, che al suo pupillo Ruotolo spiegava "vedi Collovati, vedi com’è bello, lui può fare tutto, tu invece no", era quello che diceva che "la squadra dovrà tirare fuori gli attributi fino a farsi venire la prostata", era quello che alla morte di Signorini era un po’ morto anche lui. Era quello che studiava le lingue, dall’inglese all’arabo, pronto a rituffarsi in campo, sulla panchina, alla lavagna, era quello che pensava che il pallone avesse una sua musicalità, era quello che una sera in Gazzetta ha preso carta e penna e scritto: "La formula del calcio è spazio per tempo diviso 2". Era quello che confessava: "A volte penso che Gesù Cristo sia rossoblù". A quest’ora avrà finalmente trovato la risposta.(Fonte: www.gazzetta.it)

Non c'è che dire, è scomparso un grande uomo di sport, ma soprattutto di vita.
Addio Professore!!!

03 ottobre 2005

«Pace subito»: no global contro esercitazione


ROMA - Al grido di «pace subito» gruppi di "disobbedienti" hanno bloccato per alcuni minuti Corso Vittorio Emanuele a Roma diretti al punto dove era prevista la terza esercitazione antiterrorismo. Indossavano tutti un cappello con i colori dell'arcobaleno e hanno lanciato dei fumogeni. Tra gli striscioni uno recita «che state a fà» e un altro «Ritiro di tutte le truppe dall'Iraq». Al grido di «Buffoni, buffoni» i manifestanti hanno poi acceso numerosi fumogeni ed hanno ostruito corso Vittorio Emanuele. Le Forze dell’ordine non sono intervenute, ma l'esercitazione si è svolta regolarmente, senza alcun problema, se non quello del traffico che è andato in tilt.

COLOSSEO - Con l'esplosione alle 9.30 di un finto kamikaze al Colosseo aveva intanto preso il via la prevista esercitazione antiterrorismo. L'attentatore virtuale, ovvero un manichino vestito con una tuta kaki e un passamontagna nero, si è lasciato esplodere sulle strisce pedonali di fronte all'anfiteatro Flavio, a circa trenta metri dalla fermata Colosseo della linea B della metropolitana.

L'ESERCITAZIONE - Dopo l'esplosione del kamikaze, diversi volontari della protezione civile si sono sdraiati in terra, in punti diversi, simulando persone morte e ferite nell' esplosione. Una delle autovetture parcheggiate per l'occasione nei pressi del luogo dell' attentato e con all'interno dei manichini ha preso fuoco. Nell'aria risuonano le urla dei volontari che fingono di essere feriti. Quattro bracieri sono stati incendiati per simulare roghi innescati dall'esplosione. Successivamente è scattata la simulazione di un attentato nella metropolitana di Roma, mentre subito dopo è prevista quella dell'esplosione di una bomba su un autobus, simulazione che è stata disturbata dal corteo dei Disobbedienti.

CONCLUSIONE REGOLARE - Dopo le tre esplosioni simulate, una al Colosseo ad opera di un kamikaze, una a bordo di un vagone della metropolitana alla fermata Repubblica e una su un bus della linea 64 vicino Piazza Navona e l'avvio della macchina dei soccorsi, si è conclusa l'esercitazione antiterrorismo.

Fonte: www.corriere.it

01 ottobre 2005

La casalinga che riconosce solo Berlusconi

Parliamo del caso di V. Z., casalinga italiana di 66 anni, testata ripetutamente da Mondini e Semenza per anni, la quale mostra una lesione cerebrale specifica che può gravemente compromettere la nostra capacità di riconoscere oggetti in genere e volti umani in genere, ma non la capacità di riconoscere Silvio Berlusconi. E’ come se il volto del premier fosse stato inciso nel cervello in un suo canale particolare, in un formato speciale, diverso da quello ordinario degli oggetti e da quello pure ordinario, ma separato, dei volti.
La tranquilla paziente V. Z., destinata adesso a diventare internazionalmente famosa, è affetta da un caso raro di deterioramento progressivo dell’area cerebrale chiamata, in gergo neurologico, lobo temporale mesiale, con conseguente atrofia di questa zona in ambedue i lati del cervello, ma più pronunciata nell’emisfero destro, quello soprattutto deputato all’elaborazione delle immagini. Parla normalmente e appropriatamente, ma ha difetti di memoria ed è incapace di riconoscere perfino il volto del marito e dei più stretti familiari.
L’episodio avveniva nel 2001, in piena campagna elettorale. Però sei mesi dopo V. Z. ancora riconosceva Berlusconi, a dispetto di un ulteriore peggioramento del suo stato neurologico, e a dispetto della sua totale incapacità di riconoscere foto del marito, della figlia, dei vicini di casa e di una certa difficoltà perfino a identificarli di persona. Questo sbalorditivo dato era, occorre precisare, del tutto inaspettato. Mondini e Semenza, messi su una nuova pista, hanno, con grande pazienza, cercato di trovare altre immagini che potessero emergere, come il volto di Berlusconi, dal grigio magma di non-riconoscimento della povera paziente. E ne hanno infine trovata un’altra: la foto del Papa (Wojtyla). Un successo solo parziale, però, perché V. Z. non sapeva dare alcuna informazione, oltre al fatto che si trattava del Papa, né distingueva tra (l’allora) Papa e i Papi del passato. Inoltre, il riconoscimento non sussisteva più se si toglievano dalla foto i paramenti papali.
La loro conclusione è che esiste un canale di riconoscimento e di memorizzazione «iconico», distinto da quello per gli oggetti in genere e distinto da quello, notoriamente separato e specializzato, per i volti. Semenza dice che si tratta di «una corsia preferenziale». Informazioni visive collaterali vengono strettamente associate a un volto e questo compatto insieme di informazioni sopravvive al deterioramento degli altri due canali.
Resta piuttosto problematico capire quali tratti visivi speciali si accompagnino all’immagine di Berlusconi. Forse non si tratta di qualcosa di visivo, ma, per esempio, della voce. Questa è solo un’ipotesi, i dati non la confermano né la smentiscono. Semenza dice: «Il merito di questo caso è anche quello di avere posto all’attenzione dei clinici quanto possa essere importante studiare i casi gravi in cui pochissima informazione di un certo tipo è risparmiata.
Nonostante casi simili fossero segnalati in modo aneddotico, nessuno si era mai impegnato a studiarli con un minimo di metodo sperimentale». Nemmeno Orwell aveva sospettato che esistesse una corsia neuronale preferenziale per riconoscere subito «il Grande Fratello».
Incredibile,ma vero!

Fonte: www.corriere.it