Ci sono la frenata, lo schianto, le urla: ma il ferroviere fermo sulla banchina di Roccasecca, quando il treno per Campobasso entra in quello per Cassino, vede altro. Corpi che volano, sbalzati fuori dai finestrini e dalle porte. Uno, esile, una giacca chiara e un paio di jeans, cade proprio sui binari. È una bambina, ha otto anni. Sono da poco passate le tre del pomeriggio: il treno da Roma per Cassino viene tamponato da quello per Campobasso, che arriva nella piccola stazione di Roccasecca, in provincia di Frosinone, a 120 chilometri orari. La freccia del Biferno, lo chiamano: ha tre carrozze, è diesel ed è carico di pendolari e studenti, che approfittano delle vacanze per tornare a casa. Stavolta, però, è in anticipo di qualche minuto: sul binario 2 c’è ancora il Roma-Cassino, dodici carrozze dalle quali sono appena scesi molti passeggeri. Diventeranno, di lì a pochi istanti, impotenti spettatori del disastro: la prima carrozza della freccia del Biferno piomba sull’ultima del convoglio in partenza. La tampona, si impenna, la schiaccia. Tra le lamiere, ci sono 59 feriti. Undici sono in gravissime condizioni. I due macchinisti del treno che crea il disastro si sono accorti poco prima dello schianto di ciò che sarebbe accaduto: a quel punto, hanno fatto ciò che potevano. Tirare il freno d’emergenza e correre nello scompartimento per gridare ai passeggeri di ripararsi. A Beatrice Sirago, il magistrato che li interroga a tarda sera, diranno di aver trovato semaforo verde. La loro versione, però, non coincide con quella fornita dal personale della stazione. Per il capostazione, Marino Di Noto, è vero semmai l'esatto contrario. In almeno tre carrozze ci sono feriti intrappolati: le ultime due del treno fermo e la prima di quello in arrivo. Questa è quasi sospesa in aria, obliqua, appoggiata sulle lamiere del convoglio davanti. Dentro, le persone urlano. C’è una donna che è al settimo mese di gravidanza. E una vecchina di 71 anni, Donatina Ciarlo, che urla a tutti di non spostarsi: «Avevo paura che tutto crollasse». Ovunque valigie cadute, schegge di vetro, persone insanguinate. I soccorsi arrivano in pochi minuti: tre elicotteri dei vigili del fuoco trasportano i più gravi. Le ambulanze non fanno che arrivare e ripartire per gli ospedali di Cassino, Pontecorvo, Ceprano, Frosinone e Roma. È nella capitale che viene portata la piccola Gabriella, italoinglese di otto anni, sbalzata fuori dal treno tamponato e attualmente in pericolo di vita. Ha un trauma cranico che non fa sperare i medici. Nel pomeriggio, per ore, la bambina non ha un nome, nessuno che la stia cercando. In serata, si capisce perché: tutta la sua famiglia è in ospedale, a Cassino. Questa, per loro, era una gita: con i genitori e i due fratelli, Gabriella tornava dall’Inghilterra, attraversava l’Italia in treno. In serata lo stesso elicottero che ha portato lei a Roma, torna indietro e fa lo stesso tragitto con la madre. Anche lei è in condizioni gravi. Per molti passeggeri, subito dopo l’impatto, la paura è la stessa: «È un attentato, è stato un attentato», urlano guardando i due treni incastrati, lamiere da cui sale fumo nero. I feriti che non riescono a muoversi vengono adagiati sulla banchina. «Sono scesa - racconta Angela Colitto, studentessa ventenne di Bologna - e c’era una donna con la testa spaccata, un ragazzo che si lamentava, persone che fuggivano». Una donna sbalzata fuori da un finestrino, mentre la portano via, mostra le mani ferite: «Sono atterrata proprio lì, in mezzo ai binari». Gli ultimi a uscire dalle lamiere sono i passeggeri della prima carrozza, quella che si è arrampicata sul treno fermo: «Eravamo incastrati dentro e non potevamo muoverci, avevamo paura di precipitare. Adesso qualcuno dovrà spiegarci come è accaduto». Un macchinista ricorda che lunedì uno scambio s’era incastrato a causa del gelo. Stavolta, però, non sembra essere colpa del freddo. Nella stanza dei «relais» della stazione di Roccasecca, i ferrovieri, a tarda sera, studiano la «scatola nera» che registra i movimenti dello snodo ferroviario. Il magistrato deve ancora sequestrarla, loro hanno qualche minuto per esaminarla: «Ecco - dicono - per l’Rce, il registratore cronologico degli eventi, il treno diretto a Campobasso è passato con il rosso. Anzi, prima ha trovato un semaforo giallo che segnalava la luce rossa allo stop successivo. Evidentemente non li hanno visti, né il primo né il secondo». E insistono: «Quando un treno è fermo sui binari il capostazione, anche se volesse, non può inserire il segnale di verde, il sistema informatizzato glielo impedisce». Nella stanza accanto, il pm sta ascoltando i testimoni che riesce a trovare nel caos di telecamere, sirene e soccorsi. Molti confermano che il treno arrivato in stazione a 120 chilometri orari è un vecchio modello, carrozze di 35 anni e sistema di sicurezza obsoleto. Anche l’assessore alla Sicurezza del Lazio, Regino Brachetti, accusa: «Non mi sembrano carrozze molto moderne. Da troppo tempo, questi treni non sono sostituiti con mezzi più moderni». Rfi, la società che gestisce gli impianti delle ferrovie, sostiene che «gli scambi erano funzionanti e non c’erano problemi tecnici ai sistemi di sicurezza e di blocco automatico».
Ancora dolore. Sono ancora i lavoratori, i pendolari, gli studenti e i bambini a pagare un prezzo altissimo per una politica irresponsabile e scellerata che individua nel mercato, nel profitto e nella redditività la sua strategia. Si piange per colpa di chi ha scelto di liberalizzare il trasporto ferroviario. Lo avevamo previsto e denunciato dopo l'incidente di Rometta Marea, di Crevalcore, di Viserba e, puntualmente, è accaduto.
Perché non è un caso che gli incidenti ferroviari avvengono e sono aumentati in maniera esponenziale proprio in seguito allo smantellamento della vecchia Azienda Autonoma Ferrovie dello Stato, all'avvio del processo di liberalizzazione, alla fortissima riduzione dei ferrovieri (sempre più spesso sostituiti con personale precario con contratti part-time, a tempo determinato, di apprendistato), all'abbassamento dei parametri di sicurezza, al peggioramento complessivo delle condizioni di vita e di lavoro delle lavoratrici e dei lavoratori delle ferrovie. Purtroppo la strategia infrastrutturale attuale, delle grandi opere, messa in campo a partire dalla legge obiettivo, prevede, per il futuro, oltre ad un’accentuazione degli squilibri nel sistema del trasporto ferroviario anche e, soprattutto, un ulteriore taglio alle già esigue risorse per gli investimenti in sicurezza.
È evidente che le risorse economiche disponibili, saranno completamente fagocitate da quelle che sono le vere priorità per l'impresa, per il mercato e, cioè, l'alta velocità e le autostrade. Continua, quindi, quello squilibrio nel sistema ferroviario che determina una situazione di estrema drammaticità. Drammaticità per quello che riguarda la sicurezza; drammaticità per quello che riguarda l’impatto economico delle opere; drammaticità per quello che riguarda l’impatto ambientale; drammaticità per quello che riguarda il Mezzogiorno ancora a corto di infrastrutture decenti. L'incidente di ieri non è imputabile al caso, ad un semaforo rosso, all'errore umano. Trova la sua ragione e fondamento nelle responsabilità politiche di chi ha considerato la ferrovia non più come un bene pubblico ma come una impresa a scopo di lucro e, quindi, da privatizzare.
E gli investimenti sulla sicurezza, sul materiale rotabile e sulle infrastrutture delle linee cosiddette "secondarie" sono costi da "abbattere". La lotta delle popolazioni di Val di Susa contro la TAV significa anche questo. Ribellarsi ad opere inutili, costose, dannose e dirottare le risorse a favore di un trasporto pubblico, sociale, sicuro e sostenibile. Esprimo il mio profondo dolore, la mia sincera solidarietà ai feriti, alle famiglie e ai parenti. Esprimo la mia rabbia nei confronti dei veri responsabili di quanto sta accadendo alle ferrovie di questo Paese.