11 aprile 2006

Arrestato Provenzano, era ricercato dal 1963

Si nascondeva a «casa sua», in un casolare del Corleonese: dopo oltre quarant'anni di latitanza è stato preso il boss dei boss Bernardo Provenzano. Ricercato dal 1963, era considerato la primula rossa numero uno in Italia. Subito dopo il blitz ha ammesso la propria identità agli agenti dello Sco e della Mobile di Palermo. Il re della mafia è stato portato, scortatissimo, in questura a Palermo. Ad attenderlo decine di giornalisti e cameraman e molta gente. Tante le persone che hanno applaudito al passaggio delle auto. Il capomafia è rimasto in silenzio a lungo e ha risposto solo alle domande che gli investigatori gli hanno posto per accertare le sue generalità.
Provenzano è stato trovato a pochi chilometri da Corleone nascosto in una masseria, in jeans e maglietta: in tasca aveva alcuni «pizzini», i bigliettini di carta scritti a macchina mandati ai destinatari da uomini fidati per dirigere i suoi affari miliardari visto che non utilizzava mai il telefono o il cellulare per evitare di essere intercettato.
Proprio «intercettando» una serie di pizzini scritti dalla moglie e inviati per mezzo di una serie di staffettisti gli inquirenti sono arrivati a lui. In particolare, sono stati seguiti anche due pacchi che, dopo diverse tappe, sono giunti nella masseria situata nelle campagne di Corleone senza più riprendere il via. Così è stata decisa l'irruzione nel cascinale, che ha consentito di trovare e catturare Provenzano. Sono stati identificati anche alcuni complici che si occupavano della sua latitanza. Proprio seguendo le tracce di questi ultimi la polizia avrebbe scritto la parola fine sulla latitanza del superboss. La notizia, diramata dalle forze dell'ordine, è stata confermata dal procuratore aggiunto Giuseppe Pignatone e dai pm della Dda Prestipino e Marzia Sabella.
La carriera criminale di Bernardo Provenzano comincia negli anni Cinquanta, quando insieme con Salvatore Riina, altro boss finito in carcere nel '93, diventa il più fidato luogotenente di Luciano Liggio, allora capo incontrastato di Cosa nostra nel corleonese. Di lui Liggio diceva «para come un Dio, ma ha il cervello di una gallina», una definizione che Provenzano smentirá con il passare degli anni. Il boss approda ai vertici di Cosa nostra all'inizio degli anni Ottanta, solo dopo avere fatto uccidere tutti i boss rivali. Sono state diverse le strategia usate dal capo di Cosa nostra per gestire gli affari della mafia. L'ultima, quella indicata dal collaboratore di giustizia Antonino Giuffrè, è quella della moderazione con l'infiltrazione costante nelle istituzioni, piuttosto che l'attacco frontale, come accadeva in passato. Lo scorso aprile la Cassazione aveva annullato, con rinvio per nuovo giudizio, l'ergastolo a Provenzano in relazione al processo per 127 omicidi di mafia avvenuti, a Palermo e provincia, tra gli anni '70 e i primi anni '90. Fino all'ottobre scorso di Bernardo Provenzano non si avevano foto recenti, ma solo identikit. Oggi il colpo di scena.

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