
Riporto l'intervista fatta a Paolo Onofri, padre del piccolo Tommaso, tratta dal Corriere della Sera.
Il papà di un bimbo rapito raccoglie materiale pedopornografico. Non è logico ipotizzare un nesso tra le due cose?
«So quello che si dice di me. Ma chi detiene un coltello non è Jack lo squartatore. Non necessariamente, almeno».
Però dopo 14 giorni, questa è l'unica scoperta di rilievo. «Quando si è in una certa situazione, gli investigatori scavano ovunque. Ognuno ha qualcosa in casa che non dovrebbe avere».
Ne è proprio sicuro?
«Io ho scaricato quelle immagini da Internet. Ma non ho dato nulla in cambio. Tantomeno le foto dei miei figli. Solo il pensiero mi fa schifo».
Perché allora?
«Mi piacciono le ragazze giovani, non le bambine. Ma tutto questo non centra con il rapimento di mio figlio. Ora l'ho confessato anche a mia moglie, che non ne sapeva niente».
Non deve essere stato un bel quarto d'ora.
«Non è stato facile. Siamo ancora provati. Ma ci siamo avvicinati. Questa situazione ci ha portato a superare piccoli tabù, segreti. Credo che lei abbia capito. Come io ho capito quel che lei scriveva nei suoi diari».
Eccoci. Ci sono frasi su questo suo segreto?
«Macché. Quasi ogni giorno metteva nero su bianco che io sono uno stronzo, che non era contenta di me. Tutto qui».
Ne vuole parlare?
«Io e mia moglie viviamo in due mondi diversi. Vite parallele che non si incontrano. Un problema difficile da risolvere, credo comune a molti coniugi che stanno insieme da tanto tempo. Ma ora sto scoprendo di avere al mio fianco una donna che non conoscevo. Donna e madre straordinaria. Piuttosto, non vi sembra che tutto questo parlare e indagare su di me allontani l'attenzione dalla ricerca di mio figlio, che è l'unica cosa che conta?».
Risponda lei.
«Spero che questo sia un modo per distogliere l'attenzione dalle vere piste che si stanno seguendo. Se è così, va bene anche questo».
È vero che sua moglie ha segnalato ai pm una anomalia da parte sua nell'acquisto del farmaco di Tommaso?
«Sì, è vero. Ma dopo la scoperta di quei files e la vita tremenda di questi giorni, è normale che abbia sospettato di me. Credo che almeno questo si sia chiarito».
Dopo le rivelazioni sul suo conto, come è cambiata la sua vita? «Vuole dire se mi sento completamente sputtanato? Sì, lo sono. La mia vita è distrutta, come uomo e come professionista. Ma se questo è il prezzo che devo pagare per portare a casa mio figlio, mi sta bene, lo pagherò».
La cantina di via Jacchia e del computer con i filmini è simbolo dei misteri di Paolo Onofri.
«Sono state dette molte cose non vere. Quella cantina l'ho comprata con mia moglie. Come potevo nasconderla? Con lei ci pago anche l'Ici sul modello unico. Ci va mio figlio più grande per studiare. L'avevo presa perché nella vecchia casa non avevo spazio. Un affare. Il salotto finito sui giornali è quello vecchio della casa precedente. Si è fantasticato sulle macchinine che ci sono dentro. Non sono dei bambini. È roba mia. Modelli da collezione, tutti in scala 1 a 43».
C'era anche il computer.
«Non funzionante. Vecchio, il primo dei tre che ho avuto. Lì non c'è il telefono, come facevo a collegarmi a Internet? Quel materiale l'ho scaricato da casa, molto tempo fa».
Ma è consapevole che le indagini sono concentrate su di lei? «Lo so. E lo considero un errore. Mi pesa essere al centro dei sospetti. Sto aspettando i risultati del Ris e della Polizia postale come una liberazione. Allora, forse, si potrà cominciare a cercare altrove».
In lei si cerca il movente di un sequestro inspiegabile.
«A parte il periodo da zero a cinque anni, di cui non mi ricordo, ho scandagliato tutta la mia vita. Risultati, zero».
I libretti di risparmio dei detenuti? Il riciclaggio?
«Ridicolo. Avete mai visto il libretto di un detenuto? Somme di 25, 30 euro. Il riciclaggio manco so cosa sia».
Lei ha debiti?
«Quelli ufficiali. Sto pagando un mutuo, ho chiesto l'anticipo sul Tf
per l'apparecchio dentale di mio figlio. Non sono ricco».
Un sequestro simulato, per ricavarne soldi?
«Perfetto. Scriva: se mi dovesse arrivare del denaro, lo darei in beneficenza. Non voglio niente, voglio solo mio figlio. E giuro su Dio che non so dove andarlo a cercare».
Non le sembra strano aver totalizzato cento ore di interrogatorio?
«Mi fanno sentire in colpa, al punto che mi sento davvero in colpa. Continuo a bruciarmi il cervello, chiedendomi che cosa ho fatto. Ma non trovo niente. Mi sento un contenitore vuoto».
Qualcuno che si vuole vendicare?
«Se fosse così, con tutto quello che sto passando, l'uomo che ha fatto questo non si è già vendicato a sufficienza? Cosa vuole ancora, che mi suicidi?».
Uomo del mistero, suo figlio è ancora vivo?
«Ci spero tanto. Ma giuro che non lo so».
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